Un prodotto, un’azienda, è una storia? Come raccontare quello che arriva nelle nostre case, che va a finire nelle nostre borse? Si, perché non è detto che per raccontare una bella storia si debba per forza essere una grande multinazionale. Di questo è convinto Andrea Bettini, una delle penne più vivide del nord Italia e che abbiamo avuto modo di leggere su Corriere Innovazione, Il Sole 24 Ore e CheFuturo: lui si occupa di corporate storytelling. Raccontare storie (bene) è la sua passione, e dai suoi viaggi in Italia è nato un libro, “Non siamo mica la Coca Cola (ma abbiamo una bella storia da raccontare)” edito da Franco Angeli e dedicato allo storytelling aziendale: proprio per questo abbiamo deciso di fargli qualche domanda a proposito del suo nuovo lavoro.
“Non siamo mica la Coca Cola ma abbiamo una bella storia da raccontare”: come nasce l’idea di dedicare un libro allo storytelling aziendale?
In maniera del tutto naturale direi. Quando si fa questo lavoro è quasi automatico che poi venga la voglia di mettere su carta parte delle esperienze vissute “sul campo”. Se poi aggiungi che ti capita ogni tanto di parlare a pubblici trasversali per raccontare ciò che fai, come lo fai e quali i sono i risultati che si possono raggiungere, questo libro assolve anche la funzione di aiutarmi, di fissare tante situazioni diverse dove è stato applicato lo storytelling con interessanti risultati. Sai come in tutte le professioni chi è immerso nella propria attività corre il rischio in alcuni casi di dare per scontato che gli altri sappiano già tutto di ciò che fa.
Attraverso questo libro voglio assicurarmi in maniera chiara, con esempi concreti, che il Corporate Storytelling non è solo raccontare storie, ma l’applicazione strategica della tecnica narrativa alle diverse funzioni aziendali.
Hai girato l’Italia in lungo e in largo per questo tuo libro. Cosa ti ha colpito di più?
La grande bellezza! A parte le battute e le citazioni cinematografiche effettivamente è questo che ho colto. Una straordinaria capacità nel fare. Competenze professionali elevate. Ingegnosità e creatività diffusa. Un territorio unico. È chiaro che a fare da contraltare a tutto ciò poi c’è un freno a mano inserito, quello che non permette a questo Paese di andare alla sua effettiva velocità. Un freno che è inutile discutere qui perché sistematicamente viene premuto, ci sono sia elementi congeniti strutturali sia componenti culturali, ricordiamoci si parla tanta d’innovazione, ma la prima vera innovazione parte dal pensiero, comunque sia c’è una certezza che è giunta l’ora di mettere da parte le zavorre per imboccare con fierezza la strada del cambiamento. Infine, però la cosa in assoluto che mi ha colpito di più sicuramente è il capitale umano presente nelle tante organizzazioni aziendali del nostro Paese, il vero elemento che può fare la differenza. Forse per questo nonostante tutto sono fiducioso che sarà un entusiasmante viaggio quello che ci stiamo accingendo a fare con destinazione futuro.
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— Andrea Bettini (@ILBETTA) 20 Febbraio 2015
Quanto lo storytelling può aiutare le aziende a incrementare il loro business?
Innanzitutto dovremmo intenderci sul termine business. Se con business intendiamo che posso vendere di più attraverso lo storytelling non ci siamo. Non che tale cosa non sia possibile, anzi è sistematicamente prevedibile. Il fatto però è che l’incremento di vendite diventa una positiva conseguenza di un intero percorso intrapreso in maniera sistematica e strategica. Il Corporate Storytelling è una metodologia che tocca le diverse funzioni aziendali. La sua applicazione legata alla Comunicazione è forse quella più conosciuta, ma non è l’unica. Dal Prodotto, al Marketing Strategico fino ad arrivare alle Risorse Umane è una visione che coinvolge l’intera organizzazione aziendale. È chiaro che in un processo di questo tipo l’aiuto che può dare alle imprese è totale. Quello che ho cercato di fare con il libro è stato proprio quello anche di fornire degli indicatori che potessero dare una misurabilità degli interventi realizzati. Poi sa c’è un altro aspetto fondamentale, che come in tutte le metodologie deve essere ben chiaro l’obiettivo che si vuole raggiungere. Solo in questo modo si possono fornire a monte delle valutazioni oggettive su quanto operato. Comunque sia, citando Andrea Fontana, una delle figure più autorevoli in Italia sul Corporate Storytelling e che gentilmente si è prestato a scrivere la prefazione al mio libro, “è auspicabile che ogni azienda abbia all’interno della propria organizzazione uno Specialist Storytelling”, dico questo perché formare delle figure professionali in grado di interloquire, capire e gestire poi progetti di Corporate Storytelling diventa sempre più un’esigenza per lo sviluppo di progetti che possano avere effettive ripercussioni incrementali sul business delle aziende.
Nel tuo volume una sezione è dedicata ai social media: quanto pensi sia importante attualmente per le aziende?
L’importanza è correlata alla velocità con la quale è cambiato il modo di interagire delle aziende con i propri consumatori. I social media oggi rivestono un doppio ruolo. Da un lato permettono di amplificare in maniera esponenziale ciò che un’azienda vuole comunicare anche moltiplicando ciò che viene fatto attraverso media tradizionali. Dall’altro è chiaro il racconto che l’azienda fa attraverso i social media non può essere esclusivamente autoreferenziale e nello stesso tempo non è solo a suo appannaggio la parte descrittiva. Gli stessi consumatori si trovano nelle condizioni, attraverso i social, di essere soggetti attivi di una narrazione corale. La cosa è straordinaria a pensarci bene, fino a pochi anni fa la cosa sarebbe stata impensabile. È chiaro che presenta delle difficoltà la sua gestione. Sono cambiati i paradigmi con i quali si comunica all’esterno. Alcune aziende lo hanno capito, altre meno, altre ancora stanno a guardare. Ma anche in questo caso il tempo non è un buon alleato. Così è necessario attrezzarsi al più presto per innescare una virtuosa narrazione via social, mantenendo alta la soglia di attenzione che va sotto il nome di autenticità. Credo che sia questo l’elemento discriminante e l’unico vero antidoto per non cadere in errori nell’utilizzo dei social che possono creare cicatrici profonde a un brand e ai valori che ci stanno dietro.
Tu conosci bene la Calabria: cosa ti ha colpito di questa terra?
La spinta evolutiva. Ho avuto il piacere di conoscere storie diverse di imprese (ha intervistato anche chi scrive, qui, NDR) soprattutto capitanate da giovani che mi hanno trasmesso un forte senso di volercela fare. Un attaccamento alla propria terra e forse per questo, una forza ancora maggiore nel volere dimostrare che qualcosa di diverso si può fare. Parlo spesso d’innovazione, non è un caso, se il fermento maggiore oggi in Italia arrivi proprio da regioni del Mezzogiorno. L’innovazione che intendo io è quella applicata. Che metta insieme università, ricerca, giovani e imprese, partendo però sempre da un’innovazione di pensiero. Credo che si debba ripartire proprio da questi aspetti positivi, poi è chiaro che anche la Calabria soffre di problematiche congenite, che in alcuni casi la vorrebbero non solo con il freno a mano tirato, ma pure con la retromarcia inserita. Ma sono convinto che c’è una consapevolezza da parte delle nuove generazioni che può dare delle straordinarie soddisfazioni a questa terra in un futuro molto prossimo.
Il tuo lavoro è raccontare storia: se Andrea dovesse raccontare la sua, di storia, cosa ci direbbe?
A questa domanda non credo di essere in grado di risponderti. Sai credo che chi faccia un mestiere come il mio, sia spinto fondamentalmente da due cose. La prima è la passione, quel volano che ti permette di andare oltre carreggiate da altri tracciate. La seconda è che indubbiamente preferisce raccontare le storie degli altri che la propria, forse per una forma di timidezza chissà. Comunque sia posso garantirti che in tutto ciò che scrivo c’è una piccola parte di me. Si tratta solo di leggere tra le righe.
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Scrivo di innovazione, social media, startup e nuove tecnologie, promuovo quanto di buono si fa in Calabria, per diletto leggo noir, per arrabbiarmi vedo l’Inter. La mamma mi chiama Francesco, gli amici Ciccio, il web Gioffo.